La cucina ligure è profondamente diversa da quella delle altre regioni italiane. Diversa perché la geografia della Liguria, molto più che la storia, ne ha condizionato il carattere. Genova non ha mai avuto una fertile pianura alle spalle dove poter coltivare o allevare animali. In pochi chilometri si passa da un profondissimo e vitale mare ad un entroterra boscoso e ad una montagna impervia e difficile. Mai in nessuna regione coesistono tante tipologie differenti di costruito, abitudini alimentari, modi di vivere e prodotti diversi come in Liguria. Nel paesaggio ligure non ci sono campagne perché non ne esiste lo spazio, ma non manca mai l’orto, ricavato dai piccoli appezzamenti, dai terreni delle ville, persino dall’alveo dei fiumi; Il ligure non rinuncia all’autoproduzione di erbe frutta ed ortaggi. In Liguria si impara ad elaborare piatti con quello che si ha a disposizione, utilizzando l’arte della pasta, dei ripieni, dell’utilizzo delle erbe selvatiche, delle salse e soprattutto del riciclo e dell’arrangiarsi, portando in tavola piatti sostanziosi e saporiti con ciò che la natura offre. Il risultato è una cucina essenziale, non povera, anzi, ricercata, e che ha saputo nobilitare ingredienti poveri in piatti raffinati.
Spesso la cucina ligure viene chiamata cucina del “ripieno” perché sono moltissimi i piatti della tradizione in cui l’elemento fondamentale è il ripieno; basti pensare ai ravioli, ai pansotti, alle torte di verdure, o ai “ripieni alla genovese” di cui tempo fa ho raccontato la ricetta qui. La cucina ligure è anche chiamate “bianca”, perché i sughi e gli intingoli sono sempre bianchi. Il pomodoro, che con il suo arrivo in Europa avrà tanta fortuna nelle regioni del centro e del sud Italia, in Liguria trova molte resistenze ed è visto per lo più, come ortaggio per insalate, o al massimo, come nella riviera di Ponente, per condire pissalandree e sardenaire. Le fricassee e le salse di accompagnamento per i pesci, ma anche i sughi per i ravioli e pansotti sono sempre bianchi, arricchiti semplicemente con olio, erbe, pinoli o noci. Le erbe selvatiche eduli, genericamente definite come “erbette” chiamate in dialetto gerbi e consumate in mescolanze, o “preboggion”, di tantissime specie differenti, sono l’ingrediente tipico di molti piatti della tradizione. Il termine preboggion, o prebuggiun, si basa su diverse ipotesi, certe sicuramente frutto di una grande fantasia. La più realistica è sicuramente quella che ne fa derivare nome dal metodo di cottura di queste mescolanze; buggi, in dialetto ligure significa lessare e con boggion sempre in dialetto, si indica il grosso calderone in cui effettivamente queste erbe venivano cotte, direttamente al’aperto. Di quetsa mescolanza di erbe si parla negli scritti settecenteschi e Casaccia, nel suo Dizionario genovese del 1876, parla di prebuggiun come “mazzo di verdure composto da bietole cappucci bislacchi prezzemolo ed altri camangiari”. Nel prebuggiun entrano anche piante semi-coltivate come le borragini e le bietole.
Una curiosa tradizione di Sori, nel Golfo Paradiso a pochi chilometri da Genova, prevede che nel giorno dell’Ascensione si raccogliesse 1 foglia sola di cento erbe diverse, con le quali si preparava una frittata, detta appunto “frittata delle cento erbe”. In Liguria l’impiego delle erbe in cucina ha origini antiche, la biodiversità del territorio si traduce in una ricchezza enorme di specie eduli e nei periodi di “magra”, quando le risorse scarseggiavano, si ricorreva sempre all’utilizzo delle erbe in cucina. Da qui torte ripiene, polpettoni frittate e ripieno per ravioli, pansoti o gattafin. Anni fa le donne, nei campi, ma anche sulle fasce, tra i muretti a secco sui e cigli di crose e sentieri, dall’autunno alla primavera inoltrata, raccoglievano le erbe spontanee e ne facevano fagotti utilizzando per la raccolta dei grossi teli caratteristici di cotone, i mandilli da groppo (nodo) a righe bianchi e blu, esattamente come quello che vedete nelle foto. Queste mescolanze comprendevano in genere 10-17 piante, ed è curioso come in ogni paese, soprattutto nel golfo Paradiso quando si devono preparare i pansoti, i ricettari ne indichino indispensabili 5, o 7 o 13, a seconda delle usanze e credo anche della disponibilità di ogni singolo luogo. I pansotti, o pansoti come preferisco chiamarli io, che devono il loro nome alla forma panciuta e piena, nascono sulle colline alle spalle di Sori, nel primo Levante Ligure, in particolare nella zona di Sant’Appolinare e di Sussisa, ancora oggi posti ideali per gustare degli splendidi pansoti casalinghi in una delle tante trattoria che costeggiano la strada.
La mia preferita è sempre La Rosa, dove il mitico Ennio, con la ricetta storica della sua famiglia, prepara sempre i pansoti più buoni del mondo. Le erbe che si utilizzano sono moltissime e variano da località a località. Per un fare un buon ripieno dei pansoti, nel prebuggiun come detto sopra ci dovrebbe essere almeno 7 tipi di erbe differenti, ma oggi, soprattutto in città, dove è più difficile reperire facilmente le erbette, molti utilizzano semplicemente un mix di borragini spinaci e bietole. Io ho raccolto il mio prebuggiun come si deve, e per l’occasione sono stata a Sant’Olcese nell’azienda agricola dalla signora Anna, che in una bella giornata di primavera, ha gentilmente insegnato a me e ad Enrica, a cercare e distinguere le erbe, a raccoglierle e pulirle nel modo giusto per poterle utilizzare al meglio per i nostri ripieni.
Qui di seguito le erbe più classiche da prebuggiun…e non sono nemmeno tutte!
ERBE PER PREBUGGIUN
- Amarago (Urospermum dalechampii)
- Bietola di prato (lig. gè – Beta vulgaris)
- Borragine (lig. boraxe – Borago officinalis)
- Cicerbita (lig. scixèrbua – Sonchus oleraceus)
- Cicoria (lig. radicion – Cichorium intybus)
- Consolida (Symphytum officinale)
- Dente di leone ( lig. Tageinettu – Leontodon hispidus )
- Grattalingua (lig. [rat]talêgua – Reichardia picroides)
- Ortica (lig. ortiga – Urtica dioica)
- Papavero (lig. papavao – Papaver rhoeas)
- Piantaggine (Plantago lanceolata)
- Radicchio selvatico (lig. denti de coniggio o tagiainettu o piscialetto- Hyoseris radiata).
- Raperonzolo (lig. ranpunçu – Campanula rapunculus)
- Sanguisorba (lig. Pimpinella o erba noxe – Sanguisorba minor)
- Silene ( lig. erba scioppettina – Silene vulgaris)
- Tarassaco (lig. dente de can o piscialetto – Taraxacum officinale
Per la mia ricetta ho utilizzato una sfoglia semplicissima, senza uova, perché la caratteristica dei pansoti è che siano molto bianchi; va tirata sottilissima perché in trasparenza si deve vedere il ricco ripieno verde, predominante rispetto alla pasta. Per il ripieno ho trovato una decine di erbette, tra cui principalmente talegua, pimpinella, tarassaco, tagiainettu, piantaggine, ortica, consolida e cicerbita, a cui ho aggiunto, per stemperare il gusto amarognolo, una buona parte di bietole e borragini. Ho messo anche, nel ripieno, un po’ di precinseua, quagliata tipica genovese, ma se non la trovate potete sostituirla con la ricotta.
Pulire il prebuggiun, la borragine e le bietole togliendo le coste più dure. Lessarle in pochissima acqua salata. Scolarle e strizzarle benissimo, una volta fredde, per togliere tutte l’acqua possibile. Tritarle con coltello o mezzaluna. Metterle in una terrina ed unirci l’uovo, la noce moscata la ricotta la prescinseua il parmigiano la maggiorana ed il sale. Amalgamare bene il tutto e porre al fresco mentre si stira la sfoglia. La sfoglia va stesa sottilissima, preferibilmente a matterello; tagliare dei quadrati di 5-7 cm di lato, riempirli con un cucchiaino di ripieno e richiuderli a mo’ di fazzoletto, unendo bene le estremità per ottenere la caratteristica forma tipica. Per la salsa pulire le noci, volendo potete togliere la pellicina; io l’ho lasciata perché mi piace e non mi disturba il colore più scuro ed anche perché sono noci piccole, dei boschi di Montoggio. Tritarle a mano o in un mixer insieme a qualche fogliolina di maggiorana fresca. Scaldare il latte con il sale in modo che si sciolga, ammollarci la mollica di pane ed aggiungere il tutto al mix di noci. Mescolare bene, unendo l’aglio schiacciato, se vi piace, e l’olio, fino ad ottenere una crema. Aggiustate eventualmente di sale a vostro gusto e di latte, nel caso la crema vi sembrasse troppo densa. Cuocere i pansoti in abbondante acqua salata per 4/5 minuti al massimo e condire con abbondante salsa di noci stemperata con una cucchiaiata di acqua di bollitura. Condire con parmigiano e qualche gheriglio di noce.PANSOTI CON LA SALSA DI NOCI - ricetta di Ilaria Fioravanti
Stampa
INGREDIENTI
PROCEDIMENTO